O.Wilde, Preface to 'The Picture of Dorian Gray'

The artist is the creator of beautiful things. (...)
Those who find ugly meanings in beautiful things are corrupt without being charming. This is a fault.
Those who find beautiful meanings in beautiful things are the cultivated. For these there is hope.
They are the elect to whom beautiful things mean only Beauty.
There is no such thing as a moral or an immoral book. Books are well written, or badly written. That is all. (...)

No artist is ever morbid. The artist can express everything. (...)
All art is at once surface and symbol. Those who go beneath the surface do so at their peril.
Those who read the symbol do so at their peril.
It is the spectator, and not life, that art really mirrors.
Diversity of opinion about a work of art shows that the work is new, complex, and vital.
When critics disagree the artist is in accord with himself...


O. Wilde (1854-1900),
Preface to 'The Picture of Dorian Gray'


Sunday, July 24, 2011

Padre Luigi Maria Monti, Bovisio M.go, 7

I suoi anni a Bovisio


 
7.

Pochi giorni dopo, l’11 settembre, due gendarmi e due granatieri  si recarono a Quinto Romano per arrestare Luigi, ritenuto dalle autorità il capo dei cospiratori,  e quanti della compagnia si fossero trovati con lui. Afflitto ed impotente davanti ad una tale situazione, don Dossi si fece promettere dal brigadiere di usare tutti riguardi possibili verso i suoi giovani. Il piccolo drappello partì nelle prime ore del pomeriggio e quello che seguì fu un lungo e penoso viaggio tormentato verso il carcere di Desio.
Dopo solo tre chilometri di strada fecero una prima sosta notturna nel carcere di Bettola. Accettando la loro situazione come una prova, i tre amici vi entrarono sereni  e nella speranza di incontrare presto i loro altri sventurati compagni.  Don Dossi, avvisato da alcuni ragazzi, portò loro la cena. Passarono la notte su un duro tavolaccio e il brigadiere, sensibile alla promessa fatta al sacerdote, diede loro una coperta di lana. La mattina seguente ripresero il cammino molto presto per poter giungere in serata a Barlassina. Durante il tragitto fecero una sosta di due ore nel carcere di Bollate per la colazione ed il cambio della scorta. Con i nuovi gendarmi i tre prigionieri furono assoggettati alle manette: a Luigi furono ammanettati entrambi i polsi mentre gli altri due giovani, essendo della stessa altezza, furono ammanettati insieme. Ma essi non si scomposero e accettarono la nuova condizione tanto serenamente da meravigliare gli stessi gendarmi. Giunti a Cascina Amata, furono nuovamente rinchiusi in carcere per dare il cambio alla seconda scorta. Quando ripartirono furono fatti passare dai loro paesi di origine. Nei pressi di Bovisio fu loro intimato un assoluto silenzio per non destare tumulto fra gli abitanti. Ma gran parte della popolazione, già avvisata da qualcuno, li stava attendendo. Erano tutti addolorati nel vedere Luigi così ingiustamente disonorato ed egli li pregò di non dir nulla ai suoi familiari, già angosciati per l’arresto del fratello. Scene di protesta e di dolore avvennero anche a Cesano, paese natale di Custode Radice.
Appena fuori dall’abitato Luigi venne accoppiato ad un giovane scalpellino, arrestato ed ammanettato all’istante per aver inciampato, incidentalmente, tra i gendarmi e i tre prigionieri. Quando arrivarono a Seveso, dove abitava Pietro Caronni, la sorpresa della popolazione nel vedere gli arrestati fu talmente grande da originare veri atti di ribellione. Ma i tre compagni, sebbene sfiniti, con la loro palese e contagiante serenità riuscirono a calmare l’impeto della folla che sembrava essere veramente incontenibile.
Sul far della sera giunsero stremati al carcere di Barlassina dove, con loro grande sgomento, furono rinchiusi in un sottoscala talmente stretto che a stento avrebbe potuto contenere due persone. Chiesero ai loro carcerieri un posto migliore e, siccome ne erano sprovvisti, in tutta risposta fu loro proposto di proseguire quella sera stessa fino a Desio. Accettarono e, di nuovo, ammanettati ripresero il cammino. Stanchi, affamati e con i piedi gonfi e dolenti giunsero finalmente a sera ormai inoltrata a Desio: avevano percorso quaranta chilometri a piedi e avevano avuto come nutrimento solo una leggera zuppa per prima colazione!
Il carcere era al completo così fu predisposto che i nuovi arrivati fossero distribuiti uno per ogni cella. Ma la prima porta che il carceriere aprì per farvi entrare il giovane scalpellino fu proprio quella del locale in cui erano rinchiusi i tredici giovani di Bovisio. Questi, scorgendo nel corridoio Luigi e gli altri due sfortunati amici, respinsero lo sconosciuto e chiesero di poter avere tra loro      gli amati compagni. Dapprima il custode si oppose a questa risoluzione motivando che la ristrettezza dell’ambiente avrebbe potuto causare danni alla loro salute ma essi risposero prontamente che, tutti insieme, sarebbero stati contenti anche di morire. Confuso, il custode acconsentì e così i rinchiusi in quella piccola cella da tredici diventarono sedici.  In un primo momento Luigi fu molto stupito di trovare i suoi amici pallidi e scarni ma subito si rese conto che ciò era dovuto alla mancanza d’aria (42) e lui stesso quella notte si sentì più volte male. Il mattino seguente lo trascorsero principalmente a pregare e a scambiarsi il racconto della loro cattura. Anche se per i primi giorni fu molto difficile e ripugnante adeguarsi alla durezza del carcere, all’afa intollerante, agli insetti schifosi e all’idea che, dopotutto,  si trovavano lì ingiustamente, essi cercarono di non scoraggiarsi (43). Anzi, grazie alla loro prorompente fede, seppero tramutare quei momenti di dura prova in un tempo di grazia. Cercarono di applicare in cella lo stesso lodevole e devoto stile di vita al quale si stavano preparando con don Dossi e ciò li aiutò molto a sopportare il peso della loro condizione e a rafforzare la loro unione con Dio. Invece di recriminare, quei giovani vissero quelli che sarebbero diventati settantadue giorni di carcere duro come nella celletta di un convento: la loro giornata era scandita dal canto, dalla preghiera, dalla meditazione, dal Rosario, dalla lettura e dai loro racconti riguardanti principalmente la vita dei Santi.
La gente, incredula ed ammirata, iniziò a radunarsi sempre più spesso sotto le finestre del carcere per ascoltare quei canti così sereni ed armoniosi e spesso si univano alle loro preghiere. Anche le autorità erano molto perplesse.
Alla fine di settembre il Giudice si recò a visitare le prigioni ed ebbe modo di incontrare anche la Compagnia dei Frati.  Luigi gli chiese la grazia di esaminare presto il loro caso ma non fu molto soddisfatto della risposta che sembrava essere  un po’ minacciosa e risentita (44). Comunque, presto ebbero  luogo diverse manifestazioni popolari di simpatia verso gli arrestati e persino i giornali iniziarono a parlare della loro cattura. Si mossero anche le deputazioni comunali di Bovisio e Masciago che, dopo averlo redatto insieme, fecero pervenire alla Pretura di Desio un rapporto positivo in favore dei loro cittadini incarcerati.  Inoltre,  sotto la sollecitazione di familiari, di amici, del sindaco e di don Dossi, alcune importanti personalità Milanesi - quali i conti Brambilla, i marchesi Cornaggia e lo stesso Arcivescovo Carlo Bartolomeo Romilli - cominciarono ad impegnarsi affinché quei giovani venissero al più presto liberati.
Grazie a questi riguardevoli interessamenti, il processo arrivò finalmente alla sua conclusione il 16 novembre 1851. Quel giorno stesso il Commissario di Barlassina, ricevuti gli ordini dal tribunale di Milano, intimò alla Pretura di Desio di dimettere i giovani della Compagnia dei Frati perché innocenti.
La prima cosa che essi fecero appena usciti di prigione fu quella di recarsi, ordinatamente in fila di due a due, alla Chiesa parrocchiale di Desio e recitarvi il Te Deum  in ringraziamento all’Altissimo per quanto aveva disposto a loro riguardo. E i giovani, una volta tornati a casa, non si preoccuparono minimamente di protestare contro chi li aveva ingiustamente consegnati alla polizia ma continuarono normalmente la loro vita come se nulla fosse successo. Nonostante questa disavventura, la casa di Luigi continuò ad essere frequentata e, invigoriti dal coraggio della Compagnia, altri giovani si aggiunsero al gruppo.
Dopo la scarcerazione Luigi si recò a Bovisio e si trattenne  in famiglia tre giorni anche per stare un po’ con sua sorella Maria Luigia (45) la quale, esaurita dalla malattia e dalla debolezza, era ormai inferma.  Ma dal profondo del proprio cuore Luigi sentiva che era ormai giunto il momento di separarsi da quel suo piccolo mondo. Percepiva forte in lui il richiamo di qualcosa di più grande che lo stava attendendo per rendere gloria a Dio e agli uomini della sua esistenza …
Lasciò dunque il suo tanto amato paese e fece ritorno a Quinto Romano dove raggiunse don Dossi per dare inizio con lui ad un prodigioso futuro (46) e poter così donare tutto se stesso, tramite l’aiuto divino, alla causa dell’amore per gli altri. 
 
by  A.V.M.

42. Da Preludio e compendio di storia dell’Istituto dei Figli dell’Immacolata Concezione’,  P. Elia M. Airoldi, Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione, 2001, pag. 29:  “…quel sudicio e angusto ambiente … era … lungo e largo circa sette passi e riceveva a stento l’aria da un pertugio con inferriata e bussola: dentro poi oltremodo insoffribile una latrina, appena socchiusa da un leggero coperchio di legno…”

43. Dopo un paio di settimane i giovani detenuti vennero  trasferiti dal piano terra al piano superiore ma la loro situazione non migliorò affatto essendo la nuova cella molto buia e tetra. Qui rischiarono persino di morire asfissiati per il fetore emanato dal pozzo nero quando una notte venne vuotato.

44. P. Elia M. Airoldi, op. cit., pag. 30 : “Ora domandate la grazia eh? Imparerete ad ascrivervi a società segrete; ad ascoltare un falso prete, a leggere pessimi libri ed a formare nella vostra casa la Chiesa. (…) La vedremo!”

45.  Maria Luigia morì poi a soli 22 anni il 23 marzo 1852.

46. A Quinto Romano Luigi continuò il suo apostolato  riprendendo il suo lavoro di ebanista tra i giovani della comunità. Don Dossi, mentre si accingeva a scrivere le Regole della nascente confraternita, si mise in contatto con il Superiore della confraternita dei Figli di Maria Immacolata di Brescia, padre Giusepppe Baldini. Tale congregazione, fondata dal venerabile Lodovico Pavoni  che morì prematuramente nel 1849, stava attraversando una profonda crisi dovuta principalmente allo scarso afflusso di vocazioni. Poiché lo scopo che la comunità di Quinto Romano si prefiggeva era molto simile a quella dei Pavoniani, padre Baldini propose a don Dossi di unire le loro due comunità. Così, accompagnato da cinque giovani, don Dossi fece il suo ingresso nella Congregazione dei Figli di Maria Immacolata nell’ agosto 1852. Luigi lo seguì alla fine di novembre e rimase a Brescia per quattro anni e mezzo. Qui fu incaricato alla sorveglianza degli orfani e nello stesso tempo fu avviato allo studio della bassa chirurgia e della farmacia: si stava preparando così, inconsciamente, alla divina avventura che, dopo la parentesi di Bussolengo, lo avrebbe atteso a Roma.    

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