O.Wilde, Preface to 'The Picture of Dorian Gray'

The artist is the creator of beautiful things. (...)
Those who find ugly meanings in beautiful things are corrupt without being charming. This is a fault.
Those who find beautiful meanings in beautiful things are the cultivated. For these there is hope.
They are the elect to whom beautiful things mean only Beauty.
There is no such thing as a moral or an immoral book. Books are well written, or badly written. That is all. (...)

No artist is ever morbid. The artist can express everything. (...)
All art is at once surface and symbol. Those who go beneath the surface do so at their peril.
Those who read the symbol do so at their peril.
It is the spectator, and not life, that art really mirrors.
Diversity of opinion about a work of art shows that the work is new, complex, and vital.
When critics disagree the artist is in accord with himself...


O. Wilde (1854-1900),
Preface to 'The Picture of Dorian Gray'


Friday, February 24, 2012

La Quaresima, Maria Rosa Bozzato


FESTE E TRADIZIONI :
Storia della Quaresima e del digiuno

by  Maria Rosa Bozzato


I profondi mutamenti sociali, avvenuti specialmente negli ultimi decenni, hanno allungato l’ombra del Carnevale ormai su tutto l’anno, disperdendo l’intensità emotiva che accompagnava il passaggio dal Carnevale alla Quaresima, e riducendo il digiuno a necessario rimedio per smaltire i chili di troppo. Ma perché La Quaresima?
Si parla per la prima volta della Quadrigesima nel 325 al Concilio di Nicea. Quadrigesima o Quaresima perché quaranta è il numero simbolico sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento, per prepararsi all’incontro col divino. Infatti per quaranta giorni dura il diluvio universale, per quarant’anni il popolo ebreo vaga nel deserto e infine, per quaranta giorni, sempre nel deserto, Gesù digiuna.
Fin dai primi tempi, pensando al digiuno di Gesù, i Cristiani sentirono il dovere di  imitarlo almeno nei giorni che precedono la Pasqua. E i primi Maestri a parlarci del digiuno quaresimale furono S. Girolamo, S. Agostino e il nostro S. Ambrogio.
Si adottò quindi la consuetudine giudaica di posticipare al tramonto del sole l’unico pasto consentito, usanza che nei paesi occidentali durò a lungo, fino a quando il pasto consentito si spostò a mezzogiorno, per esigenze anche lavorative in quanto intercorrevano troppe ore di digiuno  ininterrotto e senza  riposo.
Anche il grande S. Benedetto,  nella sua Regola, lasciò la facoltà agli Abati di decidere come sostenere nelle fatiche giornaliere i monaci che tra preghiera e lavoro avevano una giornata molto lunga. Si permise dapprima un bicchiere di vino prima di compieta e con il tempo anche  un boccone di pane, poiché si accorsero che solo il vino poteva nuocere alla salute. E siccome i monaci prendevano tale  ristoro durante la lettura della sera, detta “collatio”, ecco nascere da  questo piccolo sollievo la parola “colazione”. A questa colazione si aggiunse pian piano anche della frutta e della verdura, sempre in modica quantità, tanto da diventare un piccolo pasto.
Ma anticamente come si presentava la mensa quaresimale?  Certo per i poveri la differenza era poca anche perché la loro tavola era comunque poco imbandita; la carne era una rarità e spesso le uova e i latticini servivano per il baratto (lo praticavano in campagna anche i miei nonni fino alla metà degli anni cinquanta). E i ricchi? Sicuramente per loro qualche piccola differenza c’era: innanzi tutto si sostituiva lo strutto con l’olio e spesso con l’aglio e altri aromi. Le verdure potevano comunque essere accompagnate dai farinacei e, anche se la carne non era ammessa, c’era tuttavia il pesce fresco o essiccato che, per misteriose ragioni fondate sulle Sacre Scritture, era ritenuto di magro.
Anche la rivoluzione francese, responsabile della scomparsa di molte tradizioni popolari, non è comunque riuscita a cancellare il rispetto e la devozione che il popolo aveva della Quaresima, tanto che la tradizione del digiuno si è mantenuta con un certo rigore fino a tempi non lontani.
Molte sono anche le abitudini e le tradizioni che ancora si conservano, soprattutto nelle piccole comunità  che rubando qualche giorno alla Quaresima allungano o interrompono  il periodo di digiuno e penitenza. Digiuno e penitenza che ormai sono pratiche desuete. Forse nella nostra civiltà il vero digiuno sarebbe l’astensione dalla tivù e dal cioccolato. Difficile! Ma dopo qualche sacrificio, anche piccolo,  la gioia della Pasqua non esploderebbe in tutta la sua intensità?


Il combattimento fra il Carnevale (metà sinistra del quadro)
e la Quaresima (metà destra).
Olio su tela,
Pieter Bruegel il Vecchio
Kunsthistorisches Museum, Vienna

Lampi di genio, Oscar Wilde


Lampi di genio
Aforismi e citazioni di O. Wilde


Doing nothing is hard work.
Non far nulla è un lavoro duro.

To live is the rarest thing in the world.
Most people exist, that is all.
Vivere è la cosa più rara al mondo.
La maggior parte della gente esiste, e nulla più.

Experience is the name we give to our mistakes.
Esperienza è il nome che tutti danno ai propri errori.

Always forgive your enemies- nothing annoys them so much.
Perdona sempre i tuoi avversari -
nulla li infastidisce di più.

Who, being loved, is poor?
Chi, essendo amato, è povero ?

A cynic man is a man who knows the price of everything,
and the value of nothing.
Un cinico è un uomo che conosce il prezzo di tutto
 e il valore di nulla.

Health is the first duty in life
La salute è il primo dovere della vita.

I can resist everything except temptation.
Posso resistere a tutto, eccetto che resistere alle tentazioni.

It should be necessary to  be always  in love.
This is the reason why one should never marry.
Bisognerebbe essere sempre innamorati .
Questa è la ragione per cui non bisognerebbe mai sposarsi .

Bigamy is having one wife too many.
Monogamy is the same.
La bigamia è avere una moglie di troppo.
La monogamia è lo stesso.

Illusion is the first of all pleasures.
L'illusione è il primo di tutti i piaceri.

Every crime is vulgar, as every vulgarity is a crime.
Ogni crimine è volgare, come ogni volgarità è un crimine.

Every saint has a past, and every sinner has a future.
Ogni santo ha un passato, e ogni peccatore ha un futuro.


a cura dei corsisti di
Lingua e Letteratura I
UNITRE CESANO MADERNO  (MB)

Oscar Wilde, Vita


Impertinente, sensibile, geniale...
Oscar at last!
by  Maria Rosa Bozzato


“I wrote when I did not know life,
now that I do know the meaning of life, I have no more to write.
Life cannot be written, life can only be lived”


“Ho scritto quando non conoscevo la vita. Ora che so il senso della vita, non ho più niente da scrivere. La vita non può essere scritta: la vita può essere soltanto vissuta”.  In questa frase - rivolta da Oscar Wilde, ormai in esilio, ad un’amica di sua madre - possiamo racchiudere la storia di questo geniale scrittore, vissuto nella seconda metà del diciannovesimo secolo in piena era vittoriana, critico e allo stesso tempo partecipe della vita del suo tempo.
Oscar Fingal O’Flahertie Wills Wilde, nasce nell’ottobre 1854 a Dublino, secondogenito di una famiglia benestante. Suo padre William, divenuto Sir per meriti scientifici, era un rinomato medico chirurgo otorinolaringoiatra e oculista, autore di testi medici importanti e al tempo stesso romantico ricercatore del folklore irlandese. Sua madre Jane Elgee era una donna eccentrica, nazionalista convinta, che col nome di Speranza scriveva poemi in grado di infiammare gli animi già caldi degli Irlandesi. Due genitori affettuosi che saranno travolti improvvisamente da un grandissimo dolore: la morte prematura dell’adorata figlia Isola Francesca. Oscar allora dodicenne, colpito nel suo amore di fratello, scrive così i suoi primi delicati versi:

‘Tread lightly, she is near                              ‘Fate piano, è qui vicina
Under the snow                                               Sotto la neve,
Speak gently, she can hear                            Parlate adagio, lei può sentire
The daisies grow …’                                       Crescere le margherite…’

Studente brillante, Wilde frequenta le migliori scuole della sua epoca, dal Trinity College di Dublino fino ad Oxford dove diventa un brillante oratore. Non ama gli sport, preferisce leggere e le lettere classiche sono la sua passione tanto che, giovanissimo, ottiene la Gold Medal for Greek. Nel 1876-77 viaggia molto in Italia e in Grecia col professor Mahaffy che gli trasmette l’amore per l’ellenismo. Nel 1878 si laurea e lascia Oxford e nello stesso anno vince il “Newdigate Prize for Poetry”. Si stabilisce a Londra dove comincia a costruire la sua immagine di anticonformista, vestendosi e comportandosi in modo stravagante e creandosi una cerchia di amici che lo imitano. Diventa, anzi inventa, un dandy cinico e impertinente, un provocatore ironico e raffinato che schernisce tutto ciò che è luogo comune e anche buon senso. Nel 1882, sempre bisognoso di soldi a causa della sua vita dispendiosa, accetta un invito come “lettore” negli Stati Uniti, dove arrivando sentenziò “Io non ho niente da dichiarare, tranne il mio talento”. Tornato in patria nel 1884 sposa Constance Lloyd dalla quale avrà due figli. Per i bambini e per tutti, Wilde diventa un narratore delicato e romantico. Scrivendo brevi racconti come The Canterville Ghost (1877), The Happy Prince and Other Stories (1888), The Portrait of Mr. W.H. (1889), Lord Arthur Savile’s Crime and Other Stories (1891), The House of Pomegranates (1891), metterà così a nudo - per sempre - il suo animo sensibile e gentile.
Wilde trascorre anni pieni di lavoro e soddisfazioni: i salotti buoni se lo contendono anche se tutti temono le sue battute pungenti, i famosi aforismi, dai quali non si salva nessuno. E’ autore di brillanti testi teatrali come Lady Windermere’s Fan (1892), A Woman of No Importance (1893),  An Ideal Husband (1895),  The Importance of Being Earnest (1895), con i quali ironizza sulle manie e le ipocrisie dell’alta società che lui stesso frequenta. Nel 1890 Wilde pubblica l’unico suo romanzo “The Picture of Dorian Gray”, mirabilmente integrato nel 1891 dalla famosa “Prefazione” che diventerà il Manifesto dell’Estetismo inglese. L’opera, intrisa di decadente estetismo, parla di un giovane bellissimo che desidera rimanere per sempre uguale. Sarà invece il suo ritratto a invecchiare e a portare i segni della sua vita dissoluta. Solamente al momento della sua morte il ritratto riprenderà la sua bellezza originaria, mentre il viso di Dorian si trasformerà e rivelerà a tutti la malvagità del suo animo.
La ruota della fortuna di Wilde gira rovinosamente nel 1895 quando il marchese di Queensberry lo denuncia per la sua relazione omosessuale col giovane figlio. Il Poeta viene processato e condannato a due anni di prigione. Subisce ogni sorta di privazioni e umiliazioni e quando viene rilasciato è ormai un uomo distrutto. Solo, anche se avrà per sempre l’affetto della moglie e dei figli, raggiunge alla fine Parigi dove condurrà una vita misera e solitaria e dove si spegnerà, dopo aver abbracciato la Fede Cattolica, il 30 novembre del 1900 per un attacco di meningite.
Le sue ultime opere sono: il “De Profundis”, una lunga lettera scritta nel carcere di Reading  nel 1897, pubblicata parzialmente nel 1905 e completamente solo nel 1962; e “ The Ballad  of Reading Gaol (1898)”, un lungo poema che descrive la sua penosa e sofferta prigionia.


‘And alien tears will find for him                    ‘Lacrime sconosciute riempiranno
Pity’s long-broken urn,                                    l’urna della Pietà per lui.
For his mourners will be outcast men,           Avrà i lamenti degli uomini esiliati,
And outcasts always mourn’                           per gli esiliati esiste solo il pianto’    


Epitaffio sulla tomba del Poeta
               (da The Ballad of Reading Gaol)
  

Thursday, February 09, 2012

Angelo Ventura, Tutta una Vita

Happy Birthday Daddy!!!



 

ANGELO VENTURA


 “Tutta una vita”

Il sacrificio del mio caro amico
Natale Lanzani
(1924-1946)

Ai giovani  di ogni

futura generazione

Presentazione

Quanto spero e desidero descrivere non è che un semplice e breve riassunto del grande sacrificio del mio carissimo amico Natale, il quale seppe meravigliosamente donare la propria vita come grande testimonianza d’amore ai suoi cari genitori, agli amici e ancora di più  alla Patria, nel magico momento della sua più fiorente giovinezza.
Per me ed i miei amici la vita di Natale sarà un indimenticabile ricordo. Ci amammo come fratelli per ben vent’anni durante i quali condividemmo i momenti tristi e quelli felici, situazioni dure ma anche attimi magici che segnarono, in particolare, la nostra adolescenza.
Ma quando la vita maggiormente sembrava sorriderci arrivò la guerra. E così ‘il dissanguamento dei popoli’ ci separò, ed un destino più che mai triste toccò al nostro caro amico. 
Ora che la sua presenza non è più materiale, ma solo spirituale non ci rimane che il ricordo indelebile della sua bontà e della sua tragica esperienza umana.  E come i grandi eroi vengono onorati con ricompense al valore,  io desidero onorarlo con un semplice scritto, la cui intestazione di tre sole parole,  “Tutta una Vita”  -  quella vita che gli è stata strappata  -   basti a significare tutto.   E a non dimenticare.
Angelo Ventura

Bovisio Masciago, primavera 1946



………………..
………………
…………..


……. Il giorno 23 gennaio ci fu il funerale. Era mercoledì e la neve cadeva abbastanza fitta ma questo nostro piccolo, grande eroe fu ugualmente accompagnato al Campo Santo da un lungo corteo funebre. Dopo aver chiesto ai compagni di leva di lasciare a noi intimi amici l’onore di un discorso, io stesso mi volli assumere l’incarico di pronunciare le ultime parole di commiato. Perciò dopo l’ultima benedizione impartita al feretro, tra la commozione generale salutai a nome di tutti il nostro caro amico:


“Natale!
         Questo tuo caro nome lo imparammo fin dalla più tenera età. Più tardi, frequentando le scuole ci conoscemmo meglio e così diventammo amici inseparabili. Continuammo poi a volerci bene come fratelli trascorrendo insieme gli anni migliori. Dividemmo con te le difficoltà della scuola, il peso del lavoro, giorni tristi e giorni felici. Solo non potemmo dividere con te il peso della lontananza dalla nostra cara Italia, le pene e le sofferenze fisiche e morali della tua lunga prigionia.
Ricordo come se fosse solo ieri quel lontano 23 agosto 1943 quando la Patria ti chiamò ad indossare quella divisa grigioverde che molti tuoi amici e conoscenti già portavano. Dopo appena 15 giorni dalla tua chiamata alle armi, per avvenimenti storici improvvisi, venisti deportato in Germania, quale prigioniero di guerra.
Come tu stesso ci hai recentemente narrato, e più ancora la testimonianza dell’insidiosa malattia che ti procurò la morte ci ha confermato, siamo coscienti che in quella lontana ed inospitabile terra tu abbia sofferto l’incredibile.  Ma, anche,  tutto ci dice che hai preferito le sofferenze che ti han tolto la vita, piuttosto che affiancarti alla criminalità nazifascista, alla quale più volte fosti invitato ad aderirvi. E da eroe, fedele alla tua idea, con la rassegnazione dei forti e unito a moltissimi altri eroi come te, hai preferito il tormento e le sevizie della prigionia, quello della fame e dell’inganno subìto, fino al sacrificio estremo della vita.
Per noi che ti amiamo e che siamo orgogliosi di te, non rimarrebbe che una sola cosa: vendicarti!  Ma ti vendicheremo non secondo gli usi e i costumi nazifascisti e cioè con nuove violenze e spargimento di sangue, ma col farti rivivere in noi col tuo eroismo e la ricchezza del tuo amor patrio per una ricostruzione vera dell’Italia nostra.
Il resto lo lasciamo a Dio, Creatore e Padrone di ogni cosa, Giudice Eterno, perché arrivi Lui con la sua sapiente giustizia a bussare alla porta di chi fu la causa di tanto male.
In questo lembo di terra benedetta permettici di pronunciare ancora il tuo caro nome: Natale!
Dal cielo, che certamente il sacrificio ti ha meritato, veglia e consola i tuoi cari, noi tuoi amici e  tutti i tuoi compagni di leva. Noi di te serberemo il più bello e duraturo ricordo. Per noi sei una nuova stella che dall’alto splende e ci indica il nuovo cammino.


Dopo queste mie ultime parole, la sua salma fu tumulata fra i Caduti di Bovisio.  A noi rimane di lui un perenne ricordo.


§



“C’è tanta gente che non vuol sentire. E non solo chi non ha
provato,  ma anche quelli che hanno patito  spesso vogliono
dimenticare.  Certo  che  parlare  non  è  una  consolazione,
perché si patisce,  però io vorrei che tutto il mondo sapesse.
Io  dico che il prigioniero  è  il prigioniero,  in qualsiasi posto.  
Siccome non  si  può mai sapere quello che  può succedere,
prego  perché Dio non dia  a nessuno da  soffrire quello che
noi  abbiamo sofferto.  La guerra è brutta,  le prigionie  sono
brutte,  e  bisogna  confrontarsi  con  queste  realtà,  sapere,
conoscere.  Speriamo  che la pace continui,  ma anche nella
pace credo  che ogni persona debba sapere tutto quello che
è successo, e non dimenticare, non dimenticare. Certe cose
non si dovrebbero dimenticare mai.”


Savina Rupel
                                      Da ’Storia di Savina’ di  Marco Coslovich

Tuesday, February 07, 2012

A Terribly Strange Bed, W. Collins



Wilkie Collins


1824 – 1889


English novelist, playwright,
and author of short stories.


His works were classified at the time
a genre seen nowadays
 as the precursor to detective
and suspense fiction.


A Terribly Strange Bed
(1858)

.......

I soon felt not only that I could not go to sleep,
but that I could not even close my eyes.
I was wide awake, and in a high fever.
Every nerve in my body trembled-
-every one of my senses seemed to be preternaturally sharpened.

I tossed and rolled,
and tried every kind of position,
and perseveringly sought out the cold corners of the bed,
and all to no purpose.

Now I thrust my arms over the clothes;
now I poked them under the clothes;
now I violently shot my legs straight out down to the bottom of the bed;
now I convulsively coiled them up as near my chin as they would go;
now I shook out my crumpled pillow, changed it to the cool side, patted it flat, and lay down quietly on my back;
now I fiercely doubled it in two, set it up on end, thrust it against the board of the bed, and tried a sitting posture.

Every effort was in vain;
I groaned with vexation as I felt that I was in for a sleepless night.

What could I do?
I had no book to read.
And yet, unless I found out some method of diverting my mind,
I felt certain that I was in the condition to imagine all sorts of horrors;
to rack my brain with forebodings of every possible and impossible danger;
in short,
to pass the night in suffering all conceivable varieties of nervous terror.

I raised myself on my elbow, and looked about the room—
which was brightened by a lovely moonlight pouring straight through the window--to see if it contained any pictures
or ornaments that I could at all clearly distinguish.

While my eyes wandered from wall to wall, a remembrance of Le Maistre's delightful little book, Voyage autour de ma Chambre, occurred to me.
I resolved to imitate the French author,
and find occupation and amusement enough to relieve the tedium of my wakefulness,
by making a mental inventory of every article of furniture I could see,
and by following up to their sources the multitude of associations which even
a chair,
a table,
or a wash-hand stand
may be made to call forth.
In the nervous unsettled state of my mind at that moment,
I found it much easier to make my inventory than to make my reflections,
and thereupon soon gave up all hope of thinking in Le Maistre's fanciful track-
-or, indeed, of thinking at all.

I looked about the room at the different articles of furniture,
and did nothing more.

There was, first, the bed I was lying in;
a four-post bed,
of all things in the world to meet with in Paris-
-yes, a thorough clumsy British four-poster,
with the regular top lined with chintz-
-the regular fringed valance all round-
-the regular stifling, unwholesome curtains,
which I remembered having mechanically drawn back against the posts without particularly noticing the bed when I first got into the room.

Then there was the marble-topped wash-hand stand,
from which the water I had spilled, in my hurry to pour it out, was still dripping, slowly and more slowly, on to the brick floor.
Then two small chairs, with my coat, waistcoat, and trousers flung on them.
Then a large elbow-chair covered with dirty-white dimity, with my cravat and shirt collar thrown over the back.
Then a chest of drawers with two of the brass handles off, and a tawdry, broken china inkstand placed on it by way of ornament for the top.
Then the dressing-table, adorned by a very small looking-glass, and a very large pincushion.
Then the window--an unusually large window.

Then a dark old picture, which the feeble candle dimly showed me.

It was a picture of a fellow in a high Spanish hat,
crowned with a plume of towering feathers.
A swarthy,
sinister ruffian,
looking upward,
shading his eyes with his hand,
and looking intently upward—
it might be at some tall gallows at which he was going to be hanged.
At any rate,
he had the appearance of thoroughly deserving it.

This picture put a kind of constraint upon me to look upward too-
-at the top of the bed.
It was a gloomy and not an interesting object,
and I looked back at the picture.

I counted the feathers in the man's hat-
-they stood out in relief-
-three white, two green.
I observed the crown of his hat,
which was of conical shape,
according to the fashion supposed to have been favoured by Guido Fawkes.
I wondered what he was looking up at.
It couldn't be at the stars;
such a desperado was neither astrologer nor astronomer.
It must be at the high gallows,
and he was going to be hanged presently.
Would the executioner come into possession of his conical crowned hat and plume of feathers?

I counted the feathers again-
-three white, two green.
While I still lingered over this very improving and intellectual employment,
my thoughts insensibly began to wander.

The moonlight shining into the room reminded me
of a certain moonlight night in England-
-the night after a picnic party in a Welsh valley.
Every incident of the drive homeward,
through lovely scenery,
which the moonlight made lovelier than ever,
came back to my remembrance,
though I had never given the picnic a thought for years;
though,
if I had tried to recollect it,
I could certainly have recalled little or nothing of that scene long past.
Of all the wonderful faculties that help to tell us we are immortal,
which speaks the sublime truth more eloquently than memory?

Here was I,
in a strange house of the most suspicious character,
in a situation of uncertainty,
and even of peril,
which might seem to make the cool exercise of my recollection almost out of the question;
nevertheless, remembering, quite involuntarily,
places,
people,
conversations,
minute circumstances of every kind,
which I had thought forgotten for ever;
which I could not possibly have recalled at will,
even under the most favourable auspices.
And what cause had produced in a moment the whole of this strange,
complicated, mysterious effect?
Nothing but some rays of moonlight shining in at my bedroom window.
I was still thinking of the picnic-
-of our merriment on the drive home-
-of the sentimental young lady who would quote 'Childe Harold'
because it was moonlight.
I was absorbed by these past scenes and past amusements,
when,
in an instant,
the thread on which my memories hung snapped asunder;
my attention immediately came back to present things more vividly than ever,
and I found myself,
I neither knew why nor wherefore,
looking hard at the picture again.

Looking for what?
Good God!
the man had pulled his hat down on his brows!
No!
the hat itself was gone!
Where was the conical crown?
Where the feathers-
-three white, two green?
Not there!
In place of the hat and feathers,
what dusky object was it that now hid
his forehead,
his eyes,
his shading hand?

Was the bed moving?

I turned on my back and looked up.
Was I mad?
drunk?
dreaming?
giddy again?
or was the top of the bed really moving down-
-sinking slowly,
regularly,
silently,
horribly,
right down throughout the whole of its length and breadth-
-right down upon me,
as I lay underneath?

My blood seemed to stand still.
A deadly paralysing coldness stole all over me
as I turned my head round on the pillow and determined to test whether the bed-top was really moving or not,
by keeping my eye on the man in the picture.
The next look in that direction was enough.

The dull, black, frowzy outline of the valance above me
was within an inch of being parallel with his waist.
I still looked breathlessly.

And steadily
and slowly –
-very slowly-
-I saw the figure,
and the line of frame below the figure, vanish,
as the valance moved down before it.

I am,
constitutionally,
anything but timid.
I have been on more than one occasion in peril of my life,
and have not lost my self-possession for an instant;
but when the conviction first settled on my mind that the bed-top was really moving,
was steadily and continuously sinking down upon me,
I looked up shuddering,
helpless,
panic-stricken,
beneath the hideous machinery for murder,
which was advancing closer and closer to suffocate me
where I lay.

I looked up,
motionless,
speechless,
breathless.

The candle, fully spent, went out;
but the moonlight still brightened the room.

Down and down,
without pausing and without sounding,
came the bed-top,
and still my panic-terror seemed to bind me faster and faster to the mattress on which I lay-
-down and down
it sank,
till the dusty odour from the lining of the canopy
came stealing into my nostrils.

At that final moment the instinct of self-preservation startled me out of my trance, and I moved at last.
There was just room for me to roll myself sidewise off the bed.
As I dropped noiselessly to the floor,
the edge of the murderous canopy touched me on the shoulder.
Without stopping to draw my breath,
without wiping the cold sweat from my face,
I rose instantly on my knees to watch the bed-top.
I was literally spellbound by it.

If I had heard footsteps behind me,
I could not have turned round;
if a means of escape had been miraculously provided for me,
I could not have moved to take advantage of it.

The whole life in me was,
at that moment,
concentrated in my eyes.
.......